Sono passati ormai quasi 50 anni da questa vicenda che sconvolse l’Italia intera.
Quella che sto per raccontare è una storia di degrado che si sviluppa all’interno di un nucleo famigliare disfunzionale ed un tessuto sociale sfilacciato, logorato dalla povertà estrema.
E’ una storia fatta di incongruenze e continue ritrattazioni di dichiarazioni o testimonianze che ancora oggi lascia pensare che la verità storica, quella fattuale e quella processuale non siano esattamente sovrapponibili.
Siamo a Marsala, in provincia di Trapani quando nel pomeriggio del 21 ottobre 1971 scompaiono misteriosamente tre bambine :Virginia Marchese di nove anni, sua sorella Ninfa di sette e l’amica Antonella Valenti di undici.
Tutte e tre le bambine verranno ritrovate cadavere a pochi giorni di distanza e immediatamente si apre la caccia al mostro.
Al momento dell’ultimo avvistamento le tre bambine, intorno alle due del pomeriggio erano state viste uscire dalla scuola elementare Pestalozzi di Piazza Caprera a Marsala e dopo aver percorso Via Nino Bixio e Via Campobello per raggiungere casa, svaniscono nel nulla.
Nell’ immediatezza del fatto vengono subito ascoltati i compagni di scuola, i vicini di casa e i famigliari, partono le ricerche che per diversi giorni brancolano nel buio , quando finalmente spunta il primo testimone, Hans Hoffmann un benzinaio che riferisce agli inquirenti di aver visto le bambine a bordo di una 500 L Blu.
Erano realmente loro?
Il primo corpo ritrovato è quello di Antonella, era stata avvolta in un nastro adesivo e bruciata, viene riscontata violenza sessuale, poi smentita da una seconda autopsia in cui emergerà che la bambina era stata torturata, ma non presentava tracce di abusi sessuali.
Iniziano le incongruenze e nel paese si inizia a parlare di vendetta nei confronti della famiglia, di un delitto rituale, di pedofilia.
Si arrancano ipotesi che si susseguono cadendo nel vuoto fino a che viene attenzionato uno zio della bambina, Michele Vinci.
Ad insospettire gli inquirenti non furono solo le pressanti premure che il Vinci riservò alla famiglia nel chiedere continui aggiornamenti sulle indagini, ma anche il fatto che il giorno del ritrovamento del cadavere della nipote, nonostante avesse avuto il permesso di uscire prima dal lavoro dal suo principale non andò, ma il nastro adesivo che avvolgeva il corpo di Antonella proveniva proprio dal suo posto di lavoro: la Cartotecnica SanGiovanni , infine il giorno del delitto, dalle 12 alle 16, l’unico dipendente che non era in ditta era proprio lui, Michele Vinci.
Immediatamente interrogato non solo confessa, ma rivela anche il luogo di occultamento degli atri due cadaveri.
Il paese è incredulo e si chiede come sia possibile che uno zio così premuroso che partecipò assennatamente alla ricerca delle bambine col forcone invocando vendetta potesse aver compiuto quegli orribili omicidi.
Ma chi è davvero Michele Vinci? Ha agito da solo o è stato aiutato da qualcuno? Ha agito su commissione?
Malgrado le confessioni colme di dettagli del Vinci ci sono punti mai chiariti riguardo al coinvolgimento di personaggi di spicco della politica o di organizzazioni mafiose locali, pertanto molti aspetti di questa vicenda rimangono ancora oggi nebulosi e privi di riscontro oggettivo.
Nonostante l’impianto accusatorio fosse debole nel 1979 la cassazione ha riconosciuto colpevole del triplice omicidio e condannato alla pena di 29 anni Michele Vinci.
La ricostruzione dei fatti emersa in ambito processuale fu infatti molto dibattuta.
Successivamente in seguito a una puntata della trasmissione televisiva “telefono giallo ” dedicata alla vicenda il caso venne riaperto da Paolo Borsellino nel 1989, ma poco dopo venne di nuovo chiuso per mancanza di nuove prove.
Cosa è successo veramente e quale sia stato l’effettivo movente di questo triplice omicidio ancora oggi rimane in parte un mistero.
Linda corsaletti
foto fonte web
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