Il caso di Marco Vannini può essere considerato come unico nella storia della Criminologia italiana. Un omicidio che sarebbe stato di facile ed immediata risoluzione, se solo non fossero stati commessi alcuni errori procedurali nell’immediatezza del reato:
- la non conservazione dello stato originario della scena del crimine ed il mancato sequestro della stessa;
- la mancata applicazione di misure cautelari da parte del G.I.P., che non riteneva esserci pericolo di fuga né la possibilità della reiterazione del reato;
- la sottovalutazione del rischio della terza ipotesi prevista dalle misure cautelari, ovvero l’inquinamento delle prove, ha permesso agli imputati, famiglia Ciontoli e Viola Giorgini (fidanzata di Federico Ciontoli), di rimanere a stretto contatto tra di loro e di rientrare in casa, luogo dove il delitto si è consumato.
Tutto questo ha alterato la dinamica dei fatti per i seguenti motivi:
- il rientro a casa degli imputati ha fatto sì che si verificasse l’inquinamento generico e totale della scena criminis, attraverso l’irrimediabile cancellazione di elementi di prova come ad esempio la mappatura delle tracce ematiche;
- gli imputati, rimanendo a piede libero e a stretto contatto tra di loro, hanno avuto la possibilità di costruire un castello di bugie al fine di depistare gli inquirenti sull’effettiva ipotesi delittuosa, ridimensionando il tutto ad uno scherzo finito male ed una errata valutazione delle condizioni cliniche di Marco.
L’unicità di questo caso, oltre agli elementi sopracitati, è data anche dal sodalizio che la famiglia Ciontoli ha potuto instaurare con l’unico “elemento debole” del gruppo di imputati, in quanto non legato ad essi da un vincolo di parentela: Viola.
La ragazza, infatti, è l’unica che avrebbe potuto fare chiarezza per non appesantire la sua posizione a livello penale ed evitare ai genitori di Marco una verità parziale, ovvero quella processuale. La verità fattuale, anche se desumibile, sarà sicuramente difficile da dimostrare.
Articolo pubblicato su www.scenacriminis.com
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