La serie di Netflix creata da Ryan Murphy e da Ian Brennan racconta nel dettaglio la storia vera del serial killer di Milwaukee Jeffrey Dahmer, magistralmente interpretato da Evan Peters.

Uscita il 21 settembre scorso in poche settimane ha scalato le vette delle classifiche battendo ogni record.

Il genere true crime ormai da circa un decennio è sempre più apprezzato e questa serie ne è l’ennesima dimostrazione.

Cruda, analitica e incredibilmente fedele alle dichiarazioni originali rilasciate da Dahmer tanto che chi ne conosceva già la storia in modo approfondito, ha avuto la sensazione di rivivere passaggio dopo passaggio quanto è emerso dagli interrogatori reali.

Un episodio alla volta lo spettatore si ritrova immerso nell’oscurità di una delle menti più malate, sconvolgenti e controverse della storia della criminologia internazionale inerente agli assassini seriali ad oggi conosciuta.

Anche l’appartamento situato al 213 degli Oxford Apartments, dove l’assassino viveva e dove si è consumata la maggior parte degli omicidi è identico nella serie grazie a una ricostruzione in scala 1:1, inoltre a rendere tutto più reale è la straordinaria somiglianza ottenuta tra il cannibale di Milwaukee e Evan Peters.

Il registra sviscera eventi e psicologie estremamente complesse, narra le atrocità, senza soffermarsi sulle scene violente, ma scava in profondità facendo percepire stati d’animo, ossessioni, pensieri del protagonista in modo tale da restituire allo spettatore tutto l’orrore di quei momenti.

Personalmente ho trovato geniale la scelta della canzone che accompagna ogni crimine .”Please dont’ go di KC and the Sunshine band “perché “per favore non andare “perché è ciò che Dahmer chiedeva alle sue vittime, la paura di essere abbandonato, e ciò che lo portava all’assalto finale scatenando in lui rabbia e frustrazione quando la vittima di turno decideva di andarsene.

Ovviamente non sono mancate le contestazioni.

Questo calarsi lentamente nella mente di un efferato assassino ha fatto empatizzare il pubblico con il “mostro”, ma empatizzare non vuol dire giustificare o simpatizzare, tuttavia per tale motivo la serie è stata travolta da asprissime critiche da parte della comunità lgbtq e dai famigliari delle vittime che hanno trovato traumatico  assistere a un ritorno di interesse del pubblico nei confronti del serial killer cannibale.

Oltretutto in rete si è creata una sorta di macabra ossessione per questa terribile storia tanto che su Amazon, uno dei costumi più venduti per Halloween è quello di Jeffrey Dahmer, inoltre circolano irrispettosi meme raffiguranti il serial killer e come se non bastasse una delle ricerche più effettuate in rete sono state le polaroid originali scattate alle vittime.

Perché il male ci affascina così tanto?

Uno dei motivi principali è rappresentato dalla necessità di esorcizzare attraverso la comprensione, dinamiche e fatti talmente spaventosi che sembrano sfuggire alla logica umana, dargli una spiegazione aiuta ad averne meno paura, altro motivo che crea un fascino irresistibile nello spettatore nei confronti del male estremo è il tentativo di sublimare attraverso il voyerismo le condotte criminose altrui per appagare la nostra parte istintuale più primitiva che giace nel profondo di ognuno di noi, ma non in tutti fortunatamente riesce ad emergere.

Inoltre osservare il male, ci permette di mettersi nei panni della vittima, di immedesimarsi con il suo dolore, le sue paure dato che può capitare a chiunque di esserlo e questa serie ha permesso al grande pubblico un’identificazione collettiva con le vittime attraverso una visione del male ravvicinata attraverso le grandi lenti degli occhiali indossati da Evan Peters , le quali ci fanno guardare direttamente e senza esclusione di colpi dentro l’abisso della mente umana , ma senza mai mostrarci realmente scene macabre.

Ce le lascia solo immaginare.

Se non hai ancora visto la serie e prima di farlo vuoi conoscere la storia criminale di questo feroce assassino in questo blog puoi trovare un articolo che ho scritto su di lui qualche mese fa.

Dottoressa Linda Corsaletti

Foto fonte web